“Tutto quello che è caratteristico dell’architettura di Lecce, risulta dalla fusione di questi 3 grandi elementi: il nuovo spirito di rinascenza, penetrato lentamente in questa remota città; gli invincibili ricordi del Medioevo che stavano intorno alle sue porte; e la lunga dominazione spagnola…”
E’ questa la sintesi di Lecce che Martin S. Briggs, viaggiatore inglese dei primi del Novecento. Nel suo libro intitolato Nel tallone d’Italia. Briggs coglie alcune caratteristiche essenziali della città, ma naturalmente – come si vedrà – Lecce è una realtà complessa, un prisma che presenta molte facce.
Capoluogo di provincia e del Salento, con circa 95.000 abitanti, la città sorge all’estremità sud-orientale della Puglia, fra il mare Adriatico e il golfo di Taranto. Per lungo tempo è vissuta in uno splendito isolamento, fuori dai grandi itinerari turistici. Sorte ingiusta, dovuta a varie cause che non andiamo a ricercare; sorte cambiata solo a metà dell’Ottocento, con la ripresa dell’economia, l’intensificarsi dei traffici e una rivalutazione generale del contesto cittadino.
Lecce si propone oggi come una città ricca di risorse. Basti pensare all’università, al teatro e alla musica solo per citarne alcune. Ma soprattutto è consapevole di essere erede di un patrimonio artistico e architettonico senza uguali. E’ sufficiente passeggiare per le vie del centro storico per rendersi conto di come il passare del tempo abbia potuto fondere e mescolare stili e forme, solo apparentemente diversi, restituendo al visitatore sensazioni di grande armonia e pulizia di forme.
Predomina l’eredità di Carlo V, il Seicento spagnolesco, lo stile barocco, segnatamente quello che gli studiosi chiamano “barocchetto” leccese, diverso dai barocchi che si sono imposti in altre città. La diversità è data dal tocco, dalla ricchezza dello stile, che rifulge soprattutto nei palazzi e nelle chiese; ma è determinata anche dalla materia prima usata dagli artisti lapidei. Qui è la celebre “pietra leccese” o “leccisu”, pietra tenera e facilmente lavorabile, che in pochi anni assume un colore giallastro e si ricopre di una patina resistente più delle altre all’azione del tempo: per questo, i monumenti e e le opere del barocco leccese si sono mantenuti nei secoli e oggi si possono ammirare in tutta la loro bellezza.
In questa città, che non a caso è stata definita “La Signora del Barocco” e “La Firenze del Sud”, le forme artistiche hanno abbandonato i canoni classici e tradizionali, per seguire la fantasia più sbrigliata, il colorito, il formoso, l’esuberante, il bizzarro.
Il visitatore attento noterà che le vie, le piazze e le piazzette del centro storico sono intitolate ai grandi nomi del passato: dal mitico fondatore Malennio, all’eroe greco Idomeneo, alla bella Euippa, a Tancredi, a Boemondo, a Federico d’Aragona.
Il dialetto leccese, caratterizzato dai toni cortesi e dalla cadenza musicale, si differenzia dalle altre parlate pugliesi – generalmente dure e grevi – per assumere uno smalto tutto particolare, che ben si accompagna alla gentilezza e alla cordialità dei cittadini.
La cucina di Lecce, e più in generale del Salento, è semplice ma genuina e gustosa. Il sapore delle varie pietanze è arricchito dall’uso sapiente delle spezie tipiche della macchia mediterranea (salvia, menta, origano e rosmarino). Le verdure e i legumi sono generalmente cucinati in apposite pentole di terracotta, conditi con ottimo olio di oliva e serviti con le cosiddette friseddre (pane tostato e biscottato).
Tra i piatti tipici una pur breve carrellata non può dimenticare il rustico leccese (pasta sfoglia ripiena di mozzarella, besciamella, pomodoro, pepe e noce moscata); la puccia, pane di grano duro farcito o con impasto di olive nere. Tra i primi: le lagane con ceci, le lavagnette fatte in casa, la minestra di fave e carciofi. Tra i piatti a base di pesce: alici in tortiera, cozze alla leccese, triglie al cartoccio. I piatti di carne l’agnello in agrodolce e il castrato in umido.
Tra i dolci spicca il cosiddetto pasticciotto, ma numerose sono le specialità a base di mandorla, come ad esempio le cupete. Per i vini c’è solo l’imbarazzo della scelta: Negramaro, Salice Salentino, Primitivo di Manduria, Aleatico, Matino, Salento, Terra d’Otranto, Moscato del Salento.
Porta Napoli è la più bella fra le porte d’ingresso della città. Nota anche come Arco di Trionfo di Carlo V, la porta sorge maestosa nell’omonima piazza. Essa fu disegnata da Gian Giacomo dell’Arcaja ed eretta nel 1548, sul posto ove prima sorgeva l’antica porta di San Giusto. La magnifica struttura, alta circa 20 metri, fu dedicata all’imperatore Carlo V; la cittadinanza di Lecce volle così ringraziare il sovrano, per le opere di fortificazione – in particolare le mura di cinta – fatte costruire per la difesa della città.
L’arco, uno dei più belli d’Italia, è in stile corinzio ed è fiancheggiato ad una coppia di colonne per lato, con capitelli compositi, che reggono un frontone triangolare. Su quest’ultimo sono scolpiti trofei di guerra e l’acuila bicipite, stemma dell’Impero austro-spagnolo.
Alla metà del Cinquecento, l’imperatore Carlo V decise – per il Salento – tutta una serie di opere di difesa. Esse erano intese a contrastare le continue e sanguinose scorrerie dei prati saraceni e, più in generale, a frenare le mire espansionistiche dell’Impero Ottomano.
A Lecce, l’incarico di riprogettare il sistema difensivo – costituito dalle mura e dal castello – fu affidato al geniale architetto militare Gian Giacomo dell’Arcaja. In questo quadro, nel 1539 ebbe inizio la costruzione del Castello, poi chiamato di Carlo V. Ne usci il Castello vasto e spazioso, come oggi lo vediamo: una grande opera militare , poderosa e imprendibile, a forma di trapezio, con quattro baluardi a punta di lancia: la struttura – formata da due corpi concentrici separati da un cortile – è munita di mura massicce e circondata da un fossato largo e profondo, ed ha due soli ingressi a ponte levatoio.
Delle due porte, una è ora murata. Un lungo corridoio sotterraneo, che è alla stessa altezza del piano fossato colmato nel 1872, girava lungo tutta la cortina e collegava le casematte dei quattro bastioni angolari.
L’interno contiene ancora le opere di difesa precedenti come il mastio del conte Accard, mentre i grandi saloni interni sono oggi utilizzati per manifestazioni istituzionali e culturali.
Annessa al Palazzo del Governo, la Basilica di Santa Croce è condiderata il simbolo del “barocco leccese”. Su progetto di Gabriele Riccardi, la sua costruzione ebbe inizio nel 1549. I lavori durarono quasi 150 anni.
“La facciata di Santa Croce – scrisse Guido Piovene – gronda di ornati e molti descrittori non si stancano di scoprirvi particolari, le aquile, i draghi, le scimmie, i santi, i turchi, le colonne tortili, le balaustre a trafori, i riccioli, i fiori, le frutta, i nastri svolazzanti”.
Dedicato a Maria SS. Assunta, il Duomo di Lecce sorge sulla piazza omonima ed è il centro della vita religiosa cittadina. Un primo edificio fu eretto nel 1144, un secondo nel 1230. ll tempio attuale fu costruito fra il 1659 e il 1670 per opera dell’architetto e scultore leccese Giuseppe Zimbalo, il quale lo disegno con lo stile barocco allora in voga in tutta ltalia. Committente fu il vescovo Luigi Pappacoda, grande promotore dello sviluppo architettonico di Lecce.
Detta popolarmente “Porta Rusce”, Porta Rudiae fu eretta nel 1703, da Giuseppe Cino, sulle rovine di una porta quattrocentesca qui esistente. Il suo nome deriva dal fatto che essa è rivolta verso l’antico centro messapico di Rudiae, distrutto nel X11 secolo da Guglielmo il malo.
Maestosa e ricca di motivi, di volute e di fregi, la porta è sormontata da una bella statua di Sant’Oronzo, che benedice la città di cui è patrono e che sovrasta l’epigrafe in cui si narra l’origine mitica di Lecce. A destra e a sinistra del Santo, in posizione leggermente più bassa, stanno le due statue di Sant’lrene e San Domenico.
Scoperto agli inizi del Novecento, l’Anfiteatro si trova in Piazza Sant’Oronzo ed e il più importante monumento romano esistente a Lecce. La scoperta fu casuale e avvenne nel corso dei lavori per la sistemazione della Piazza. Superate non poche difficoltà, tecniche ed economiche, i lavori terminarono nel 1938 e portarono alla luce buona parte della struttura originaria.
La costruzione dell’Anfiteatro risale al principio del 11 secolo e, secondo Pausania, fu voluta dall’imperatore Adriano. Dal punto di vista architettonico, ricalca gli anfiteatri di Roma, di Pompei e di Siracusa, ma presenta un maggior interesse per le dimensioni, per la quantità di materiale usato e per l’ottimo stato di conservazione di alcuni particolari: piloni, archi, gradinate, capitelli, tutto è quasi intatto, tutto è colossale. L’edificio fu costruito in pietra leccese e rivestito di marmo bianco e colorato.
Era cinto da un magnifico portico, secondo lo schema gia sperimentato a Roma, a Capua e a Verona. L’arena era perfettamente ovale. Con una cavea di metri 102 x 83,40 e un’arena di metri 53,40 x 34,60. L’anfiteatro poteva accogliere dai 10.000 ai 15.000 spettatori. La “summa cavea” era ornata con statue e colonne scanalate di cipollino africano.
Sembra che la struttura fosse usata soprattutto per le “venationes”: lo dimostrerebbero i numerosi rilievi che decoravano il podium e rappresentavano scene di caccia e combattimenti tra cacciatori e animali.
Costituita da sei rocchi di marmo cipollino africano, la Colonna di Sant’Oronzo domina la piazza omonima, è alta più di ventinove metri e sostiene la statua del santo patrono di Lecce, nell’atto di benedire la città. ll fusto e il capitello provengono da una delle due colonne poste al termine della Via Appia, la strada consolare romana che giungeva sino a Brindisi. Fu proprio la città di Brindisi a darla in dono ai leccesi, in onore di Sant‘Oronzo.
La colonna fu realizzata da Giuseppe Zimbalo nel 1681-1686: cosi la citta adempiva al suo voto e ringraziava il patrono per averla preservata dal flagello della peste. La statua originaria – in legno, ricoperta di rame e lavorata da maestri veneti- fu semidistrutta nel 1737, da un incendio causato dai fuochi d’artificio. Essa fu rifatta in bronzo, su disegno di Mauro Manieri, e ricollocata sulla colonna nel 1739, con gran giubilo della popolazione. Recentemente è stata restaurata.
L’Obelisco si erge di fronte a Porta Napoli, tra il Viale dell’Università e Via Taranto. Su disegno di Luigi Cipolla, la struttura fu realizzata nel 1822 dallo scultore Vito Carluccio di Muro Leccese, per commemorare la visita di Ferdinando I di Borbone, sovrano delle Due Sicilie.
La colonna, a pianta quadra e di forma piramidale, si assottiglia procedendo dal basso verso l’alto. Sulle quattro facce della piramide sono fregi a bassorilievo che richiamano i capoluoghi dell’antica provincia di Terra d’Otranto (Lecce, Otranto, Brindisi, Taranto e Gallipoli). Sul basamento, sollevato sopra una pedana, è ripetuto lo stemma provinciale, che mostra un delfino mentre azzanna la mezzaluna sullo stemma d’Aragona.